Per andare avanti e crescere nel cammino della vita, bisogna avere non paura: bisogna avere fiducia. Non dobbiamo pensare che Egli sia un padrone cattivo, duro e severo che vuole punirci. Se dentro di noi c’è questa immagine sbagliata di Dio, allora la nostra vita non potrà essere feconda, perché vivremo nella paura e questa non ci condurrà a nulla.
Ci sono di esempio i martiri cristiani – i nostri martiri, anche dei nostri tempi, che sono di più di quelli degli inizi – i quali, nonostante le persecuzioni, sono uomini e donne di pace. Essi ci consegnano una eredità da custodire e imitare: il Vangelo dell’amore e della misericordia. (Angelus, 17 novembre 2019)
Nella Scrittura, quando Dio si presenta a chi lo accoglie, ama pronunciare queste due parole: non temere. Le dice ad Abramo (cfr Gen 15,1), le ripete a Isacco (cfr Gen 26,24), a Giacobbe (cfr Gen 46,3) e così via, fino a Giuseppe (cfr Mt 1,20) e a Maria: non temere, non temere. In questo modo ci manda un messaggio chiaro e consolante: ogni volta che la vita si apre a Dio, la paura non può più tenerci in ostaggio. Perché la paura ci tiene in ostaggio. Tu, sorella, fratello, se vuoi puoi passare r i r i tuoi peccati ti spaventano, se il tuo passato ti inquieta, se le tue ferite non si rimarginano, se le continue cadute ti demoralizzano e ti sembra di aver smarrito la speranza, per favore, non temere. Dio conosce le tue debolezze ed è più grande dei tuoi sbagli. Dio è più grande dei nostri peccat mii: è molto più grande! (Omelia, Celebrazione della penitenza e atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, 25 marzo 2022)
La tomba è il luogo dove chi entra non esce. Ma Gesù è uscito per noi, è risorto per noi, per portare vita dove c’era morte, per avviare una storia nuova dove era stata messa una pietra sopra. Lui, che ha ribaltato il masso all’ingresso della tomba, può rimuovere i macigni che sigillano il cuore. Perciò non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza. Possiamo e dobbiamo sperare, perché Dio è fedele. Non ci ha lasciati soli, ci ha visitati: è venuto in ogni nostra situazione, nel dolore, nell’angoscia, nella morte. La sua luce ha illuminato l’oscurità del sepolcro: oggi vuole raggiungere gli angoli più bui della vita. Sorella, fratello, anche se nel cuore hai seppellito la speranza, non arrenderti: Dio è più grande. Il buio e la morte non hanno l’ultima parola. Coraggio, con Dio niente è perduto! (Omelia, 11 aprile 2020)
I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti noi. Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini. Non bisogna dimenticare questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: “Mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?”, davvero, io non so cosa rispondere. Soltanto dico: “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta”. […] Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto. (Udienza generale, 4 gennaio 2017)
Simeone, mosso dallo Spirito, vede e riconosce Cristo. E prega dicendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (v. 30). Ecco il grande miracolo della fede: apre gli occhi, trasforma lo sguardo, cambia la visuale. Come sappiamo da tanti incontri di Gesù nei Vangeli, la fede nasce dallo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda, sciogliendo le durezze del nostro cuore, risanando le sue ferite, dandoci occhi nuovi per vedere noi stessi e il mondo. Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose. Non si tratta di uno sguardo ingenuo, no, è sapienziale; lo sguardo ingenuo fugge la realtà o finge di non vedere i problemi; si tratta invece di occhi che sanno “vedere dentro” e “vedere oltre”; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio. (Omelia, 2 febbraio 2022)
Quante volte nel Vangelo, nella Bibbia, troviamo questa frase: “Ebbe compassione”. Commosso, Gesù si dedica alla gente e riprende a insegnare (cfr vv. 33-34). Sembra una contraddizione, ma in realtà non lo è. Infatti, solo il cuore che non si fa rapire dalla fretta è capace di commuoversi, cioè di non lasciarsi prendere da sé stesso e dalle cose da fare e di accorgersi degli altri, delle loro ferite, dei loro bisogni. La compassione nasce dalla contemplazione. Se impariamo a riposare davvero, diventiamo capaci di compassione vera; se coltiviamo uno sguardo contemplativo, porteremo avanti le nostre attività senza l’atteggiamento rapace di chi vuole possedere e consumare tutto; se restiamo in contatto con il Signore e non anestetizziamo la parte più profonda di noi, le cose da fare non avranno il potere di toglierci il fiato e di divorarci. Abbiamo bisogno – sentite questo –, abbiamo bisogno di una “ecologia del cuore”, che si compone di riposo, contemplazione e compassione. (Angelus, 18 luglio 2021)
“Io ricordo che per Carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva dei biscotti, ed era una pasta molto sottile, sottile, sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava … e quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota. E la nonna ci diceva – nel dialetto le chiamavano bugie – ‘queste sono come le bugie: sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di verità, lì; non c’è niente di sostanza’. E Gesù ci dice: ‘State attenti dal cattivo lievito, quello dei farisei’. E quale è? E’ l’ipocrisia. Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia”. (Santa Marta 14 ottobre 2016)
Con questo miracolo Gesù si manifesta e si manifesta a noi come luce del mondo (...) tutti abbiamo bisogno di una luce nuova: quella della fede, che Gesù ci ha donato. Infatti quel cieco del Vangelo riacquistando la vista si apre al mistero di Cristo (...) Se adesso vi chiedessi: “Credete che Gesù è il Figlio di Dio? Credete che può cambiarvi il cuore? Credete che può far vedere la realtà come la vede Lui, non come la vediamo noi? Credete che Lui è luce, ci dà la vera luce?” (...) Che cosa significa avere la vera luce, camminare nella luce? Significa innanzitutto abbandonare le luci false: la luce fredda e fatua del pregiudizio contro gli altri, perché il pregiudizio distorce la realtà e ci carica di avversione contro coloro che giudichiamo senza misericordia e condanniamo senza appello (...) Un’altra luce falsa, perché seducente e ambigua, è quella dell’interesse personale: se valutiamo uomini e cose in base al criterio del nostro utile, del nostro piacere, del nostro prestigio, non facciamo la verità nelle relazioni e nelle situazioni (...) questa nuova illuminazione ci trasformi negli atteggiamenti e nelle azioni, per essere anche noi, a partire dalla nostra povertà, dalle nostre pochezze, portatori di un raggio della luce di Cristo. (Angelus, IV Domenica di Quaresima (Laetare), 26 marzo 2017)
Nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, Colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere. «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23). (Omelia, L’Aquila, Piazzale della Basilica di Santa Maria in Collemaggio, 28 agosto 2022)
Sempre, anche oggi, la tentazione è quella di voler seguire un Cristo senza croce, anzi, di insegnare a Dio la strada giusta […] Ma Gesù ci ricorda che la sua via è la via dell’amore, e non c’è vero amore senza il sacrificio di sé. Siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma ad essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani di camminare contro-corrente e in salita.
Gesù completa la sua proposta con parole che esprimono una grande sapienza sempre valida, perché sfidano la mentalità e i comportamenti egocentrici. Egli esorta: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (v. 25). In questo paradosso è contenuta la regola d’oro che Dio ha inscritto nella natura umana creata in Cristo: la regola che solo l’amore dà senso e felicità alla vita. (Angelus, 3 settembre 2017)
Quanto ci farebbe bene liberarci di tante realtà superflue, per riscoprire quel che conta, per ritrovare i volti di chi ci sta accanto! […] Digiunare è saper rinunciare alle cose vane, al superfluo, per andare all’essenziale. Digiunare non è soltanto per dimagrire, digiunare è andare proprio all’essenziale, è cercare la bellezza di una vita più semplice. […] Quanti poveri e anziani ci stanno accanto e vivono nel silenzio, senza far clamore, marginalizzati e scartati! Parlare di loro non fa audience. Ma il deserto ci conduce a loro, a quanti, messi a tacere, chiedono in silenzio il nostro aiuto. Tanti sguardi silenziosi che chiedono il nostro aiuto. Il cammino nel deserto quaresimale è un cammino di carità verso chi è più debole. (Udienza generale, 26 febbraio 2020)